Pianto

Diventare grandi anche con i no!

DIVENTARE GRANDI (ANCHE) CON I NO

Quale genitore non conosce la famigerata “età dei capricci”? I bambini diventano più capricciosi, si oppongono, imparano a dire “no” e sembrano voler sfidare il genitore in ogni occasione.

Ma perché i bambini iniziano a fare i capricci?

Intorno ai due anni il bambino conosce un’esplosione di vitalità e di curiosità: si apre ad un incontro amoroso con il mondo e diventa in genere molto attivo, esigente e impulsivo. Rispondendo con dei “NO” agli inviti e alle richieste dei genitori, per la prima volta afferma la propria volontà, afferma il proprio “io”, e così quella opposizione ha un significato evolutivo importantissimo. Stiamo parlando dell’inizio di quel delicato processo che è la costruzione della propria identità. Per percepire un senso del Sé, il bambino ha bisogno di sentirsi innanzitutto separato da mamma e papà, e cosa c’è di meglio di un bel “no” per dichiarare ai genitori e a se stesso che lui ha idee diverse, lui è diverso da mamma e papà?

Cosa deve fare il genitore?

Partendo dal presupposto che una certa oppositività in questi anni è del tutto normale, anzi sana, il genitore non può tuttavia evitare di interrogarsi sul comportamento capriccioso o oppositivo del figlio. Infatti, se un bambino piagnucola, urla o ha un comportamento fastidioso ci sta comunicando qualcosa. Non è ancora in grado di comprendere pienamente quali emozioni lo stanno attraversando né tantomeno è in grado di esprimere a parole il suo disagio. Spetta a noi adulti dare parola alle sue sensazioni confuse. Solitamente quando questi comportamenti si manifestano in pubblico (per esempio al supermercato o in un ristorante) il genitore si imbarazza, si sente osservato e giudicato. Si è anche tentati di pensare che il proprio figlio “lo stia facendo apposta”. Focalizzandosi sulle emozioni del bambino si potrebbe scoprire che si è annoiato, o che desiderava sentirsi grande e aiutare la mamma a fare la spesa, o che gli dà fastidio la lunga attesa al ristorante o la confusione. È molto importante comunicare al bambino ciò che avete ipotizzato sul suo comportamento: “Lo so, sei stanco e vorresti andare a casa”, “Ti dà fastidio qualcosa? La confusione?”, ecc.

Una volta compreso e verbalizzato il significato sottostante il capriccio, il bambino si sentirà innanzitutto capito e il senso di frustrazione per l’incapacità di comunicare svanirà; poi il genitore potrà decidere, con più libertà e tranquillità, se soddisfare la sua richiesta (concludere in fretta la spesa, fargli prendere le cose dagli scaffali) oppure no, o proporgli attività coinvolgenti (“facciamo un disegno intanto che aspettiamo la pizza”, “aiutami tu a fare la spesa”).

Al contrario, se non si comprendono i veri significati dei capricci e dei “no” del bambino si rischia di innescare un’escalation di frustrazione e rabbia che può portare alla rovina del rapporto.

Che significato ha allora il “no” del genitore?

Il “no” del genitore, che può inizialmente irritare il bambino, contribuisce in realtà a fargli prendere coscienza dell’esistenza di persone altre da sé, con propri desideri e volontà. Inoltre contribuisce a farlo sentire protetto, sicuro e gli insegna ad affrontare le regole e i limiti della realtà.

I bambini hanno bisogno di avere al proprio fianco adulti autorevoli e coerenti. Ricordiamo che i bambini amano la prevedibilità: preferiscono quindi un esito prevedibile e fermo, anche se non è quello desiderato, ad un “forse” che li fa precipitare in un’angosciante alternanza di speranza e delusione (“mi dispiace, ma oggi non possiamo proprio andare al parco”, “mi dispiace tu debba smettere di giocare, ma è importante che tu venga a mangiare insieme a noi”).

Ricordiamo che fino a qualche mese prima il bambino vedeva soddisfatti praticamente tutti i suoi desideri: piangeva e come per magia arrivava il latte, piagnucolava e qualcuno lo cullava, strillava e qualcuno lo puliva. Per i bambini piccoli è normale pensarsi un tutt’uno con la madre o con chi si prende cura di loro e fantasticare che siano loro stessi ad esaudire come per magia i loro desideri. Con i primi “no”, “aspetta”, “quello non si fa” i genitori si propongono ai figli come persone diverse, portatrici di desideri e bisogni propri. Accettare ciò non è facile, ma è un passaggio obbligato per poter entrare in relazione con l’altro. Solo quando si é separati c’è relazione, c’è comunicazione.

Inoltre se da un lato il bambino può percepire i limiti come delle fastidiose restrizioni, dall’altro percepisce anche un senso di protezione e di cura. Se il piccolo sente i genitori deboli o facilmente sgretolabili dal suono delle sue urla, percepirà anche un senso di insicurezza e di non protezione. Potremmo dire che il bambino sferra attacchi sempre più forti per poter essere sicuro che il genitore lo proteggerà dai pericoli (“non prendere il coltello perchè rischi di farti male”) e resisterà alla sua aggressività.

Amare un bambino non significa fargli fare tutto quello che vuole. Se il bambino vede assecondata ogni sua richiesta (dal dormire nel lettone, al mangiare per terra, a fare il bagno quando e come vuole lui) si sentirà onnipotente e inizierà a credere che il mondo ruoti attorno a lui. Il senso di onnipotenza lo farà sentire forte e invincibile, ma non lo metterà al riparo dai pericoli e dalle frustrazioni della vita; anzi il piccolo tiranno non farà esperienza di come poter fronteggiare gli inevitabili limiti imposti dalla realtà. Pertanto quei “no” non detti per risparmiare al figlio qualsiasi sofferenza, o per il quieto vivere, si trasformano in un grosso ostacolo alla crescita sana e forte della personalità del bambino. È importante invece dare la possibilità ai figli di sviluppare anche degli strumenti per far fronte alle difficoltà. Usando le parole di Asha Phillips (1999)

“per poter agire con fermezza dovete essere convinte che quello che fate è giusto; altrimenti trasmettete la vostra incertezza e il bambino riceve un messaggio confuso. Potrebbe pensare che se insiste e fa i capricci finirete per cedere.”

Il senso del limite, l’esistenza delle regole, la necessità dei confini concorrono a giocare una sfida evolutiva fondamentale.

Non sono facili i cosiddetti “terribili due anni”, ma occorre tenere a mente che il bambino sta affrontando una sfida evolutiva importante. Bisogna aiutarlo a gettare le basi per la crescita di un’identità sicura e forte. Con fermezza e dolcezza, il genitore deve contenere e comprendere il vulcano di emozioni e di sensazioni che sta esplodendo dentro di lui e ricordare che senza tutta questa forza ed energia non avrebbe la possibilità di aprirsi al mondo, di relazionarsi con gli altri e di imparare così tanto.

“È questa la grande sfida che devono affrontare i genitori: coltivare nei figli la passione e il coinvolgimento nel mondo e al tempo stesso insegnar loro ad adattarsi alle regole della società.” (Asha Phillips)