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CERVELLO PREADOLESCENZA

COSA SUCCEDE AL CERVELLO DURANTE LA PREADOLESCENZA?

“Chi è costui?”, “Dove è finito il mio dolce e tenero bambino?”

Sono domande che molti genitori si pongono quando il proprio figlio entra nella fase della preadolescenza, che possiamo far coincidere per semplicità con gli anni delle scuole medie (le ragazzine talvolta mostrano comportamenti tipici di questa fase anche prima). Quando la preadolescenza inizia, il genitore se ne accorge: l’infanzia sembra terminare all’improvviso e quella bambina che prima si disinteressava di vestiti e accessori, adesso passa ore in bagno davanti allo specchio e quel bambino, che usciva malvolentieri per comprare un paio di scarpe, ora le vuole solo di una determinata marca.
D’un tratto i genitori sembrano non essere più in grado di capirli, fanno parte di un’altra generazione e allora ecco che appaiono sulla scena familiare i conflitti, le porte sbattute, i silenzi, le reazioni impulsive e gli sbalzi d’umore.
Tutto ciò può far preoccupare il genitore, che fatica a comprendere cosa stia passando per la mente del proprio figlio.

Può essere utile allora scoprire cosa accade davvero nel cervello di un ragazzino.

Spesso si tirano in causa gli “ormoni impazziti” per spiegare le oscillazioni di umore o i comportamenti istintivi dei preadolescenti. Ma la vera spiegazione è da ricercare nella maturazione cerebrale. Il cervello di un preadolescente non è incompiuto, ma è ancora immaturo, ovvero: il suo cervello è strutturalmente compiuto come quello di un adulto, ma non funziona ancora come quello di un adulto, perché mancano ancora molte delle connessioni tra i neuroni (le sinapsi) e, inoltre, queste connessioni funzionano lentamente. Infatti in età evolutiva, il processo di mielinizzazione (ciò che rende veloci le connessioni tra neuroni) è ancora parziale.

In particolare è la corteccia prefrontale a risentire di questa lentezza neuronale ed è proprio l’area del cervello deputata ad una serie di funzioni cognitive implicate nei processi decisionali: è la parte del cervello in grado di valutare i pro e i contro di una determinata decisione.

La parte del cervello che invece è già completamente matura è la parte “emotiva” (l’amigdala). Inoltre durante questa fase vi è un aumento dell’attività dei circuiti neurali che utilizzano la dopoamina, provocando nei ragazzi un forte senso di essere vivi. Ecco spiegato l’aumento dell’impulsività, l’aumento della suscettibilità alla dipendenza (i comportamenti e le sostanze che creano dipendenza comportano, infatti, il rilascio di grandi quantità di dopamina) e il porre l’attenzione solo al risultato positivo immediato, senza ampliare lo sguardo ed includere anche eventuali aspetti negativi di una data situazione.

Pertanto possiamo comprendere come il preadolescente sia in balìa del suo “cervello emotivo”, che lo stimola a cercare soddisfazioni immediate e sempre più forti, senza poter avere il supporto del “cervello cognitivo” che lo aiuterebbe a valutare le situazioni, a regolare le emozioni, a pianificare il lavoro, ad avere sotto controllo il tempo e a sapersi orientare nelle relazioni sociali.

Le richieste assurde, i ritardi, la scarsa organizzazione nei compiti e le oscillazioni dell’umore causate da quelle che l’adulto ritiene “piccolezze” sono quindi parte della crescita, dovute al fatto che si devono ancora sviluppare molte sinapsi nel cervello del preadolescente.

Ecco allora che il genitore deve porsi come “cervello cognitivo” di supporto. Deve cioè favorire la creazione di nuove sinapsi, stimolare il pensiero critico, aiutarlo a vedere i punti deboli delle sue richieste o delle sue proposte. Ad esempio: “Mi hai fatto l’elenco degli amici che vuoi invitare al cinema e ho notato che non c’è Marco.. Come mai? ..Come pensi ci possa rimanere?”, oppure “Sei sicura che passare tutto il pomeriggio con Laura ti possa aiutare a studiare? Vedersi con le amiche solitamente è piacevole perché si può chiacchierare… cosa ne dici se prima ti concentri sullo studio e poi raggiungi Laura?”, o ancora, è importante aiutarli a ragionare su ciò che accade intorno a loro: “cosa ne pensi di quello che è successo nell’altra sezione?”, “se tu fossi stato il professore cosa avresti fatto?”, oppure “la cronaca riporta un altro atto di bullismo… perchè accade secondo te?, cosa avrebbe potuto fare la vittima?, a scuola da te ci sono fenomeni di questo tipo?”).

Pertanto, data la modalità di sviluppo del cervello, ritenere che il ragazzo delle scuole medie “ormai è grande e sa decidere da solo” è un’illusione, perché la difficoltà più grande in questa età è proprio riuscire a prendere una decisione senza lasciarsi trasportare dall’emozione del momento. Il compito dell’adulto è quello di favorire le riflessioni sui propri e altrui comportamenti, di aiutare il ragazzo a vedere al di là del bisogno di soddisfare subito il suo desiderio.

Il fatto che il cervello di un ragazzino sia in evoluzione significa anche che presenta un’enorme plasticità. Il cervello di un preadolescente è particolarmente modificabile e influenzabile, sia in positivo sia in negativo. Avranno quindi molto peso le influenze derivanti dai genitori, dalla scuola e dal gruppo dei pari, che a questa età diventa sempre più importante.

Tutte le esperienze che noi viviamo ogni giorno contribuiscono a modificare la struttura del nostro cervello, creando nuovi collegamenti o spegnendone altri. Questo è ancora più vero quando si parla di preadoelscenti e adolescenti, il cui cervello sta vivendo una fase di maturazione ricca e significativa. Un’età quindi ideale per il genitore, che può continuare il suo lavoro educativo e lasciare un segno importante nel cammino di maturazione del proprio figlio.

 

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Il genitore come porto sicuro per il preadolescente

 

COME AVERE A CHE FARE CON UN FIGLIO PREADOLESCENTE

Una delle sfide più importanti della preadolescenza (sia per il ragazzo, sia per il genitore) è quella di riuscire a gestire l’ambivalenza che il ragazzo prova tra il desiderio di autonomia e il bisogno di dipendenza. Il ragazzino inizia a sentire la voglia di libertà, di sentirsi capace di affrontare il mondo da solo, e ciò significa anche mettere in discussione l’antico sistema di sicurezza, basato sull’affidarsi e sul dipendere dai genitori. Il preadolescente ha quindi paura di affrontare tutte le novità, sia esterne, sia interne a sé, completamente da solo. Ha bisogno di sentire che il genitore è presente, che lo guida nei primi passi verso l’autonomia, ma che al tempo stesso non gli impedisce l’esplorazione del mondo e di sé.

Il genitore è quindi chiamato ad essere un porto sicuro, al quale il ragazzo può attraccare nei momenti di stanchezza, dubbio, o paura, e dal quale, al tempo stesso, può spingersi, come da un trampolino di lancio, per sperimentare le proprie capacità e scoprire nuovi mondi.

Ovviamente non si giunge alla preadolescenza senza un passato. Fino a questa età il genitore ha contribuito a creare, restando nella metafora, la barca del proprio figlio: i valori trasmessi e la capacità di dialogo con il figlio sono basi che un genitore ha già avuto modo di alimentare nell’infanzia e costituiscono l’armatura della barca, ovvero la struttura della personalità del figlio.

Ovviamente è il porto, ovvero il genitore, a non doversi spaventare dalla burrasca in arrivo. Una volta usciti dall’infanzia, il mare si fa inevitabilmente più mosso: le onde provocate dalla crescita fisica, portano il ragazzo a provare tutto a un tratto una forte euforia e subito dopo sentimenti depressivi e di sconforto. Sarà attratto da lidi che promettono gratificazioni immediate o che prevedono percorsi rischiosi per essere raggiunti e conquistati.

Ma allora come può un genitore porsi come un porto sicuro per un preadolescente?Ecco alcune linee guida che possono essere spunti di riflessione per un genitore di un figlio preadolescente:

  1. Creare spazi di condivisione neutrali

Vi ricordate il suo orsacchiotto dal quale non si separava mai? Bene, quell’orsacchiotto è servito a vostro figlio per separarsi in modo graduale da voi: lo stringeva quando sentiva la vostra mancanza e lo picchiava quando era arrabbiato con voi. Su quell’orsacchiotto era possibile sperimentare e sfogare tutte le emozioni possibili, non c’era il rischio di compromettere il rapporto reale con la mamma. Magari vi ha anche coinvolto in qualche gioco con l’orsacchiotto preferito: eravate insieme, ma con un oggetto tra di voi, un oggetto carico di significati, attraverso il quale era possibile parlare di se stessi, di ciò che si provava per l’altro, senza sentirsi troppo direttamente coinvolti.

Ora che è più grandicello sta, ancora una volta, affrontando una separazione importante da voi: una separazione non più fisica, ma soprattutto mentale, di pensiero. Servono spazi e momenti in cui condividete punti di vista, affetti ed emozioni, spesso contrastanti. Insomma serve un nuovo orsacchiotto…ma che forma può avere un orsacchiotto per un preadolescente? Le aree “neutrali” per un ragazzo assumono le forme della musica, dei film e dei libri (quando ama leggere!).

Attraverso la sua musica lui vi parla di ciò che prova, dei suoi dubbi, delle sue paure e delle sue speranze. Perciò la sua musica non è “terribile” o “fastidiosa”, è “interessante”. Ascoltatela sul serio e chiedetegli cosa gli piace di quella canzone e di quel cantante. E poi fategli ascoltare una vostra canzone, magari una di quelle che ascoltavate quando avevate la sua età e commentatela insieme.

E cosa dire dei film o dei libri? Ci sono film e libri interessanti che si possono proporre ai ragazzini per stimolare delle riflessioni su temi importanti della vita. Soli davanti alla TV subiscono passivamente le immagini e il messaggio del film, ma con un genitore guardare un film può essere l’occasione per parlare di relazioni sentimentali, di bullismo, di violenza, di ingiustizie, di rapporto con i pari e con gli adulti. Parlando del film si evitano le domande dirette, che solitamente i ragazzi non tollerano, e si può fornire loro argomenti interessanti per allenarsi al pensiero critico e ad esprimere il loro punto di vista. Punto di vista che può essere diverso dal vostro, senza per questo suscitare conflitti o emozioni forti…del resto, si sta parlando del film! (Potreste proporre film come Inside out per parlare dei cambiamenti emotivi, Wonder per affrontare il tema dell’integrazione, del bullismo e delle dinamiche familiari, Super 8 per tematiche riguardanti il gruppo e i primi innamoramenti, e tanti altri!)

  1. Insegnare l’autonomia

Il ragazzo ha bisogno di sentirsi autonomo. Vedersi capace di fare piccole cose da solo contribuisce non solo al progressivo distacco da voi, ma alimenta la sua autostima. È perciò importante assegnargli dei piccoli compiti, dei quali lui diventi responsabile. Non con spirito punitivo, ma proprio perché sta crescendo, vi potete fidare di lui per la pulizia della propria stanza o per la gestione della spazzatura o per accompagnare il cane. Ovviamente non si può pretendere che sappia da subito svolgere questi compiti alla perfezione: va insegnato come si fa e quali sono le strategie giuste per evitare di dimenticarsi del compito.

  1. Dare punti fermi

Tornando alla metafora del porto sicuro, se un genitore cede a tutte le richieste del figlio o gli permette di esplorare luoghi non sicuri è un porto che fa acqua da tutte le parti. E il ragazzo se ne accorge: lui ha bisogno di sapere che il genitore è forte e non cede alle sua bufera di emozioni e di pretese. In modo tranquillo, ma fermo, siate chiari nei permessi e nelle regole. Fate notare, senza essere troppo pedanti se la cosa non è grave, quando trasgrediscono. Parlate apertamente dei rischi che potrebbero incontrare in certe situazioni, spiegate loro perché non gli concedete una cosa. Per esempio: vostra figlia vuole rientrare in casa da sola dopo aver passato il pomeriggio dall’amica. Si sente grande e autonoma, ma potrebbe non essere in grado di prevedere tutti i rischi ai quali va incontro. Quindi se sapete che la strada che dovrebbe percorrere di sera diventa, purtroppo, una strada poco sicura, non rispondetele con espressioni del tipo “tu in giro da sola non ci vai!”, come se fosse incapace di rientrare a casa da sola e facendola sentire in colpa per la sua richiesta di autonomia. Spiegatele, invece che è inutile correre rischi, in quanto la strada è poco sicura: “per questa volta ti vengo a prendere io, perchè non mi fido delle persone e delle situazioni che potresti incontrare lungo la strada” (non “perché non mi fido di te”!).

  1. Mai sminuire, sempre ascoltare

La litigata con l’amica del cuore o il rigore sbagliato sul campo di calcio, non sono “piccolezze” per questa età. Diventano problemi gravi, magari solo per un pomeriggio, ma creano sofferenza. Se avete instaurato un buon dialogo con vostro figlio e avete la preziosa occasione di venire a conoscenza di ciò che gli accade, non sminuite la questione, ma cogliete l’opportunità per aprire un dialogo: “cosa ti ha fatto arrabbiare del comportamento dell’amica?”, “cosa ti dà più fastidio del fatto di aver sbagliato il rigore?”. Vostro figlio deve capire che ciò che prova e ciò che pensa è importante per voi e che siete in grado di sostenere un dialogo pacato anche quando le emozioni in gioco sembrano esplosive.

  1. Porsi come “cervello cognitivo” di supporto

Il cervello cognitivo di un preadolescente sta ancora maturando, mentre è già ben sviluppato quello emotivo. Le decisioni o la valutazione di una situazione avviene pertanto sull’onda emotiva. Il passaggio al pensiero critico deve essere quindi stimolato dall’adulto: “quali potrebbero essere le conseguenze?”, “come avresti reagito tu se fossi stato al posto di …?”, “perché secondo te la prof ha reagito così?”, sono tutte domande che stimolano le connessioni tra il cervello emotivo e quello cognitivo che in un preadolescente è strutturalmente più lento.

  1. Conoscere il suo mondo

Oggi non si tratta più solamente di conoscere gli amici, le famiglie, i compagni di calcio, ma si tratta di stare al passo con i tempi e di aggiornarsi in continuazione.

Cosa implica permettergli l’uso del cellulare? Come educarlo all’uso del cellulare?Come funziona Instagram? Quali contenuti può vedere tramite il suo profilo? Chi può chiedergli l’amicizia su Facebook? Cosa comporta entrare in un clan di un videogioco? Chi è lo youtuber che segue ogni pomeriggio?

L’interesse per il mondo del ragazzo permette al genitore di rimanere in contatto con le esperienze del figlio (vostro figlio sa che se siete disposti a parlare di videogiochi sarete disposti a parlare di qualunque cosa, anche di tematiche serie), e al tempo stesso potrete informarlo su eventuali rischi e quindi proteggerlo.

“TI PREGO, NON PIANGERE ANCHE STAMATTINA”

Il momento della separazione all’ingresso della scuola dell’infanzia non è facile da affrontare: si temono le reazioni del figlio e spesso anche le proprie. Capita che i genitori cerchino di evitare questo scoglio, e chiedano al proprio figlio di non piangere all’ingresso della scuola dell’infanzia, facendo promesse o usando ricatti…tutto, pur di non dover vivere quel momento straziante!

Ma il momento del saluto è importante e va vissuto appieno insieme al figlio.

Come fare?

  • Dite a vostro figlio che la giornata alla scuola dell’infanzia non durerà per sempre: la sua paura infatti, per quanto difficile da credere per un adulto, è proprio questa. Il bambino ha  bisogno di sentirsi dire che dovrà cavarsela da solo per un tempo limitato e poi tornerà a casa e lì potrà raccontare ai genitori tutto quanto ha vissuto. I genitori lo aspetteranno curiosi perché ciò che lui crea e impara con la maestra e i compagni è qualcosa di prezioso e loro vogliono essere partecipi delle sue nuove scoperte.
  • Se vuole portare con sé un peluche o un piccolo gioco, non ditegli di no. È vero che all’asilo ne troverà tanti altri, ma quell’orsacchiotto che porta da casa è un giocattolo carico di significato: solo quel pupazzetto, infatti, ha la capacità di contenere l’affetto di mamma e papà, proprio perché ha condiviso giochi, ambienti e coccole con i suoi genitori.
  • Ricordate che i bambini sono abili scrutatori del volto e delle emozioni dei genitori: se un genitore è sereno nel trasmettere il dispiacere per il fatto di doversi salutare, l’entusiasmo per la giornata che verrà e l’aspettativa di un felice riabbracciarsi, il bambino assorbirà questo clima rilassato e fiducioso.
  • Tenete a mente che il bambino ha il diritto di piangere: il pianto infatti è espressione del suo dispiacere e dell’attaccamento alla mamma. Se il bambino piange al momento di salutarvi, date voce ai suoi pensieri e sentimenti: “so che sei triste perché ci dobbiamo salutare; hai paura di qualcosa?”, e rassicuratelo sul fatto che vi rivedrete: “torno a prenderti più tardi e mi racconterai quello che hai fatto; intanto tieni stretto il tuo peluche e fagli tante coccole, così non si sentirà solo”. A questo punto, affidatelo alle braccia della maestra, in modo che il bambino possa trovare la propria strategia per affrontare il distacco.
  • In generale, tenete a mente che il vostro piccolo sta affrontando un passaggio importante. Chi l’ha detto che crescere non è doloroso? Il bambino infatti è chiamato ad entrare a far parte di un gruppo sociale che gli impone di adattarsi a nuove regole per una serena convivenza. L’intimità e la protezione della famiglia vengono meno, è tenuto ad essere più autonomo nel gestire dinamiche nuove. E il genitore è chiamato a credere in lui e a trasmettere fiducia nelle sue capacità di affrontare le nuove sfide, in modo da alimentare nel bambino l’autostima e la sensazione di potercela fare.

Se l’intensità del pianto è elevata o la durata del disagio del bambino è prolungata nel tempo, tanto da non permettergli di farsi consolare e di farsi distrarre dai giochi e dalle attività, sarà meglio non sottovalutare la situazione e chiedere aiuto ad un professionista.