Autore: silvia arzuffi

UN TEMPO PER PRENDERSI CURA

Questo tempo della pandemia è più lungo di quanto avessimo previsto. Abbiamo calcolato le nostre energie per poter superare al meglio il lockdown di questa primavera, ma ora ci accorgiamo di non poter quantificare il tempo che dovremo trascorrere rispettando obblighi e  restrizioni.

La mente umana ama le abitudini, le sicurezze e la routine, mentre fatica di fronte ai cambiamenti. Mai come in questi mesi abbiamo dovuto sforzarci per accettare il tempo che stiamo vivendo come la nuova normalità. E anche quando potremo dire di essere riusciti a contenere il virus, non dovremo correre il rischio di negare quanto è accaduto.

Gli psicologi definiscono questa pandemia un “trauma collettivo”. Un trauma è per definizione una rottura, una ferita. Non possiamo negare il fatto che la nostra quotidianità si sia spezzata, si sia interrotta. Nella nostra mente c’è già l’evento del virus come evento spartiacque, c’è un tempo, una vita “prima del Covid”.

Ci auguriamo presto che possa esserci un tempo e una vita “dopo il Covid”, ma come possiamo affrontare il “periodo durante il Covid”, nel quale le nostre relazioni hanno subito una drastica diminuzione e ci troviamo spesso  costretti a rimanere da soli con i nostri pensieri?

  1. Essere consapevoli
    Il primo passo da fare è quello di non negare ciò che sta succedendo, non minimizzare e non fissarsi sulla ricerca di un colpevole, ma piuttosto cercare di prenderne piena consapevolezza. Se ci sforziamo di guardare in faccia al nostro trauma collettivo, che si declina in base alle situazioni in un trauma individuale, possiamo iniziare ad affrontare il dolore per le libertà negate, per la perdita delle persone care e lo sfaldamento di tante nostre sicurezze.

  2. Avere cura di se stessi e degli altri
    Quando vengono meno, ci accorgiamo di quanto siano importanti la salute, la serenità psicologica e le relazioni significative. Spesso ci sentiamo autorizzati a prenderci cura di noi stessi solo quando tocchiamo il fondo. Perché non sfruttare questo periodo difficile per avere cura di noi stessi e dei nostri cari? Non solo per proteggerci dal virus e non contagiare gli altri, ma per curare noi stessi, le nostre relazioni familiari e amicali, seppur nella distanza. Non ci sono certo le grandi feste in cui incontriamo tante persone, ma ci può essere quella telefonata, con quell’amico. La distanza in questi casi può favorire una relazione più intima e più profonda: non si tratta solo di “fare due parole” con l’amico durante una cena, ma un desiderio di parlare proprio con quell’amico, di condividere qualcosa con lui.
  1. Riordinare pensieri e priorità
    Eravamo abituati a fare, incontrare, programmare, riempire il tempo e forse anche a farci aiutare da questo pieno di relazioni e di impegni per coprire pensieri scomodi, fatiche mentali che non si aveva voglia di affrontare. In modo traumatico il Covid ha costretto noi stessi e la società intera a guardarsi davvero, ad interrogarsi sul proprio modo di pensare, sul proprio modo di darsi delle priorità. Siamo costretti a scegliere tra la tutela della salute e la tutela della sicurezza economica, tra la tutela della salute fisica e la tutela della salute psicologica. Mai prima d’ora ci eravamo trovati ad affrontare scelte di questo tipo.

Questo quindi può diventare anche un tempo per andare in profondità, per conoscere meglio noi stessi, per aprire il trauma ad un periodo di “crisi”, nel senso etimologico greco di “scelta, decisione”. Il tempo del Covid può allora diventare il momento della scelta di ciò che è importante, prioritario per me e per la società intera, di cosa voglio davvero approfondire, curare e portare nel “tempo post Covid”.
Non c’è un momento, un luogo, una circostanza giusta per prendersi cura di sé e degli altri e in questo tempo doloroso, pieno di sacrifici la cura è indubbiamente in primo piano, ma dobbiamo essere capaci di non vivere questo tempo solo con la legittima e condivisa speranza che possa passare al più presto, ma come tempo prezioso e trasformativo, un tempo per riordinare pensieri e priorità.

Verso una nuova normalità_silvia_arzuffi

VERSO UNA NUOVA NORMALITÀ

Fase due. Fase del dopo, del superamento di qualcosa, di un nuovo inizio. Abbiamo voglia di andare oltre.

Ma oltre a cosa?

Oltre al trauma, il
trauma collettivo della pandemia e della quarantena. Dobbiamo riconoscerlo. Ciò che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo ha tutte le caratteristiche del trauma. Il trauma mette in crisi i parametri spazio temporali della nostra mente, è  inatteso, ci coglie impreparati e senza difese specifiche per affrontarlo, ci fa sentire impotenti e cambia la nostra vita. La quarantena ha ristretto il nostro spazio di azione e messo tra parentesi, in un tempo sospeso, tanti aspetti della nostra quotidianità. 

Per definizione il trauma segna inesorabilmente un prima e un dopo e il dopo del trauma non può non tener conto di ciò che è stato. Non dobbiamo correre il pericolo di negare quello che è successo, aspettandoci semplicemente di ripartire da dove avevamo lasciato. È giusto dare spazio e ascoltare le nostre domande e i dubbi legati alla “nuova normalità” che stiamo per affrontare: come convivere con il virus? come tornare ad incontrare l’altro senza che si scatenino angosce persecutorie di contagio?

Una cosa è certa: se il trauma è stato collettivo, è insieme agli altri che dobbiamo superarlo. Non siamo soli ad affrontare l’incertezza del domani. L’esperienza traumatica ci accomuna e già abbiamo visto come siamo stati capaci di creare legami empatici anche a distanza, di far crollare barriere formali, di superare antiche lontananze e di preoccuparci davvero per il bene dell’altro. Stando distanti ci siamo presi cura di noi stessi e degli altri. Ora è arrivato il momento di andare oltre la fase della chiusura, della cura “passiva” e statica e di incontrare l’altro con un atteggiamento di cura reciproca che passa da comportamenti più attivi (l’uso della mascherina, il rispetto della distanza, ecc). 

La fase due è una nuova fase della nostra vita, della nostra vita con gli altri. Non è il ritorno a qualcosa di già sperimentato e conosciuto, è una fase che nasce da una periodo di quasi isolamento, un periodo trascorso in un deserto relazionale e psicologico, durante il quale sono inevitabilmente emersi pensieri importanti sulla vita, la malattia, la morte, i legami con i familiari. Sono domande accompagnate da un carico emotivo importante che nella vita “preCornavirus” non potevano avere il giusto spazio mentale. Lasciarle ricadere nell’oblio ora, nella fase due, equivarrebbe davvero a fare un torto a noi stessi. Affrontare la fase due consapevoli di vivere una fase nuova della nostra vita e della nostra società può contribuire ad andare oltre al trauma, senza negarlo, riconoscendolo in tutta la sua drammaticità, e avendo anche la capacità di guardare e accogliere tutta la sua potenza trasformativa.

FRAGILI MA RESISTENTI. Come il virus ci mette alla prova.

Quarantena: un atto d’amore “capovolto”

L’isolamento forzato ci fa rendere conto di quanta fame abbiamo di relazioni sociali, di abbracci e di sguardi. Pensiamo, del resto, ad un bambino piccolo, che ha necessità di ricevere lo sguardo della madre, che lo riconosce e definisce il suo valore. A quanto pare, anche da adulti non smettiamo di avere bisogno di sguardi, di abbracci e di qualcuno che si prende cura di noi.
Stranamente in questo periodo la cura verso noi stessi e verso gli altri passa da un atto d’amore “capovolto”: la distanza sociale, il non incontrare amici e parenti.
L’essere umano è capace di amore, ma al tempo stesso è un essere sociale, necessita di relazioni. Forse anche proprio per questo motivo l’atto di amore che ci è richiesto di compiere in queste settimane di quarantena è così difficile da tollerare.

L’importanza della resilienza. Oggi più che mai.

La nostra mente è stata chiamata ad adattarsi a cambiamenti forti in poco tempo: ci siamo accorti che le abitudini che prima vivevamo magari con insofferenza in fondo ci davano sicurezza, erano dei punti fermi, e capita di sentirsi smarriti.

La domanda “come stai?” non è più retorica, ci preoccupiamo davvero della salute dell’altro. Sperimentiamo situazioni che mai avremmo immaginato, come il lavoro e la didattica a distanza, l’impossibilità di riunirci con i nostri cari. Ma con le nostre risorse reagiamo: abbiamo visto come in tantissimi hanno reagito al vuoto relazionale imposto con dei meccanismi di vicinanza empatica alternativa, grazie al web e ai social.

L’invito è quindi quello di cogliere il momento di quarantena, salute permettendo, come momento per le opportunità, per sperimentare modi di relazionarsi, di lavorare, di vivere, diversi dal solito e fare entrare nelle nostre lunghe giornate un elemento di positività, di curiosità e di scoperta. Questo atteggiamento propositivo ci permette di tenere il controllo su alcuni aspetti della nostra vita con una inclinazione alla crescita, al miglioramento, alla speranza e, nello stesso tempo può aiutarci a sentirci meno in balìa delle preoccupazioni e delle paure legate al contagio.

Ascoltare i nostri pensieri.

Salute permettendo, nelle lunghe giornate in cui il fare e il rincorrere gli impegni passano in secondo piano, è possibile sentire i nostri pensieri, pensieri che interrogano noi stessi, le nostre scelte di vita, il significato che diamo alle relazioni con gli altri.

Vi auguro che possiate cogliere questa situazione difficoltà come una possibilità di conoscere sempre più a fondo voi stessi.